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La Laminetta Orfica di Hipponion e la definitiva rivelazione dei Rituali Orfici

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Così si legge nella laminetta orfica di Hipponion, oggi custodita presso il Museo Statale Archeologico “V. Capialbi” di Vibo Valentia:

 

“Di Mnemosyne è questo sepolcro. Quando ti toccherà di morire, andrai alle case ben costruite di Ade: v’è sulla destra una fonte, accanto ad essa si erge un bianco cipresso; lì discendono le anime dei morti per aver refrigerio. A questa fonte non accostarti neppure; ma più avanti troverai la fredda acqua che scorre dal lago di Mnemosyne: vi stanno innanzi custodi, ed essi ti chiederanno, in sicuro discernimento, che mai cerchi attraverso la tenebra dell’Ade caliginoso. Dì loro: “Son figlio della Greve e del Cielo stellato; di sete son arso e vengo meno: ma datemi presto da bere la fredda acqua che viene dal lago di Mnemosyne”. Ed essi son misericordiosi per volere del sovrano degli Inferi, e ti daranno da bere (l’acqua) del lago di Mnemosyne; e tu quando avrai bevuto percorrerai la sacra via su cui anche gli altri iniziati procedono gloriosi”.


È il 13 settembre 1969, quando, nel corso di scavi archeologici condotti dal dott. Arslan, in una delle tombe della necropoli greca nel sottosuolo di Vibo Valentia, viene ritrovata una laminetta d’oro, che si dimostra essere orfica, a conferma del culto di Persefone praticato in Hipponion (antica Vibo Valentia). Siamo nel piano inferiore della Necropoli occidentale di Hipponion, ubicata sul pianoro ai piedi della collina sulla quale sorgeva l’antica città della Magna Grecia. Qui, nella tomba n. 19 che conteneva un inumato di sesso femminile, insieme ad altri materiali di corredo, viene rinvenuta una sottilissima lamina in oro, ripiegata quattro volte su se stessa e posta sulla parte alta dello sterno, il che ha fatto supporre qualche studioso che, al momento della sepoltura, fosse stata posta nella bocca della defunta. La lamina, la cui cronologia è da porsi tra la fine del V e l’inizio del IV secolo a. C., presenta un’iscrizione greca incisa su sedici righe per fornire alla defunta tutte le istruzioni necessarie a guidare l’anima, evidentemente iniziata alla dottrina orfica, nel suo itinerario ultraterreno; questo spiegherebbe la piegatura, considerato un atto rituale destinato a sottrarre ad occhi profani un testo sacro che doveva accompagnare l’iniziato nel suo viaggio nell’Ade.


L’interesse per questa laminetta è notevole, sia dal punto di vista prettamente archeologico, che da quello sociale e religioso. La laminetta orfica di Hipponion (Vibo Valentia) va ad aggiungersi ad altre 6 laminette orfiche in precedenza ritrovate nel territorio della Magna Grecia; ma questa è tra tutte la più completa nel testo e la più antica; essa, inoltre, è l’unica proveniente da un contesto di scavo certo ed indagato con metodo scientifico. Il sepolcro di Hipponion è sicuramente datato intorno al 400 a.C., per cui l’archetipo dei testi dovrà risalire almeno al quinto secolo a.C. Il nuovo testo procurò, e questo è il fatto più importante, due versi in più, i quali fanno apparire le controversie sull’«orfismo», d’un tratto, sotto un nuovo aspetto.

 

Quanto si legge in questa laminetta costituisce nel complesso l’espressione più toccante del dolore umano. È viatico e preghiera che veniva affidata al congiunto perduto, perché egli superasse le dure prove che portano alla salvezza dell’anima e stabilivano nel contempo un legame perenne tra il vivente e l’estinto, tra la vita terrena e l’eterno infinito. La morte perde il senso suo più tetro e desolante e diviene soltanto passaggio naturale e completamento dell’esistenza terrena in una vita eterna e beata.

 

L’emozione è intensa, profonda. A questo punto, il culto già evoluto assumeva ormai aspetti e contenuti di speranza e di fede.

 

 

 

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